Giuseppe Altobello

Cenni biografici

Giuseppe Altobello è vissuto esattamente a cavallo di due secoli: nato nel 1869, scomparso nel 1931, ha trascorso trentuno anni della sua vita nell’Ottocento e trentuno nel Novecento. L’atto di nascita ci informa che Giuseppe Carlo Emanuele Altobello nacque in Campobasso, la sera del quattro novembre 1869, da Emmanuele Altobello di anni quarantuno, avvocato del Foro di Campobasso, e da Elisa Emilia Allocati di anni ventisei, “professione” gentildonna. Erede di due famiglie in vista della Campobasso dell’epoca, completò gli studi medi in privato accedendo da privatista alla terza liceo  del Mario Pagano di Campobasso, dove si diplomò nel giugno del 1891. Al momento di scegliere la sede per i propri studi universitari decise di iscriversi alla facoltà di Medicina e chirurgia nella lontana regia università di Bologna, contraddicendo sia la tradizione forense di famiglia che la consuetudine della buona borghesia campobassana di indirizzare i propri rampolli verso l’ateneo napoletano.Il 6 luglio del 1896 conseguì la laurea, discutendo una tesi dal titolo “Caso clinico di ematomielia centrale”. Nei due anni successivi alla laurea in medicina, mentre seguiva il tirocinio presso la clinica chirurgica dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna, diede finalmente corpo alla passione per la zoologia frequentando il laboratorio dell’università di Bologna dove fece due conoscenze importanti: la prima nella persona del direttore dell’Istituto, il professor  Carlo Emery che molto influirà sulla sua formazione di naturalista e l’altra, Alessandro Ghigi allievo prediletto di Emery di cui divenne ben presto assistente onorario. In quegli anni Altobello strinse con Ghigi un saldo rapporto di stima reciproca che inciderà sulla sua vicenda umana. Il 17 luglio del 1898 si laureò anche in Scienze naturali, con una tesi sullo “Sviluppo e struttura delle penne”. Sempre a Bologna aveva fatto un altro incontro che avrebbe segnato la sua vita, Antonina Manzini figlia di Raimondo, questore di Bologna, e di Matilde Scaglioni. Dopo sette anni di fidanzamento, il diciotto di ottobre del 1902 si unirono in matrimonio nella Casa Comunale di Marano, in provincia di Modena, dove i Manzini avevano dei possedimenti. Al loro rientro a Campobasso andarono ad abitare in periferia, quasi in campagna, in un villino situato ai margini dell’antica cinta muraria della città. L’unione venne ben presto allietata dalla nascita, il ventiquattro luglio del 1903, del primogenito Emanuele Raimondo Carlo che in seguito calcherà le orme paterne laureandosi anch’egli in Medicina e chirurgia. Nel 1906 nacque Elsa Chiara Matilde, bionda e delicata figura femminile che dal padre eredita la passione per la musica. Oltre ad essere un animatore di incontri conviviali e di serate musicali, spesso al centro delle attività culturali e sociali di Campobasso, Altobello coinvolgeva la “buona società”, in escursioni volte alla scoperta delle bellezze naturalistiche del territorio molisano. Questa atmosfera spensierata venne bruscamente interrotta, nel maggio del 1915, con l’ingresso dell’Italia in guerra. Altobello, in organico nei ruoli del personale direttivo della Croce Rossa Italiana, propostosi volontario viene inviato a dirigere, con il grado di capitano medico, l’ospedale di guerra n. 8 di Ancona di stanza a San Giorgio di Nogaro (Udine). Rimase in zona di guerra dal 7 agosto 1915 al 22 febbraio del 1916 quando, a causa di un residuo di cataratta traumatica all’occhio destro operata tre anni prima, venne messo a disposizione per infermità non dipendente da causa di servizio. Oltre che nella professione medica Giuseppe Altobello fu molto presente nel mondo della Pubblica Istruzione dove già nel 1906 rappresentò il Comune di Campobasso presso l’Istituto nazionale per l’incremento dell’educazione fisica. Tra il 1920 e il 1927 fu componente del Patronato scolastico, nel 1921 iniziò la sua carriera di docente, come professore straordinario di Scienze naturali, nel neonato Istituto tecnico provinciale di Campobasso. Nel 1924 venne nominato ispettore per l’istruzione media della Provincia incarico che detenne per due anni. Dal 1924 al 1927 fu chiamato nel Consiglio di amministrazione della Cassa scolastica del Liceo ginnasio “Mario Pagano”. Nel 1926 divenne professore ordinario di Scienze naturali presso l’Istituto tecnico provinciale di Campobasso. Due anni dopo, nel 1928, lo troviamo nelle vesti di ispettore ordinario per le opere integrative della scuola, consigliere scolastico del Molise presso il Regio provveditorato agli studi e vice presidente della Dante Alighieri di Campobasso. Nel 1929, infine, rappresentò la Provincia nel Consorzio provinciale obbligatorio per l’istruzione tecnica. Altrettanto attivo nel volontariato e nel sociale, in particolare nell’ambito della Croce rossa italiana di cui fu delegato nel triennio 1901-04, diventando presidente del locale comitato nel 1905. Nel 1912 venne nominato tenente medico e, nel 1915, capitano della C.R.I. Nel 1919 fu componente del Comitato antitubercolare mentre nel 1921 presiedette la rappresentanza provinciale dell’Opera nazionale per gli invalidi di guerra e fu, al tempo stesso, componente del Comitato d’onore per la glorificazione del fante italiano. Nel 1927 rappresentò il comitato cittadino per l’Opera nazionale della maternità ed infanzia e, l’anno successivo, fece parte della rappresentanza del Consorzio antitubercolare della Provincia. È stato inoltre presente, con spirito di servizio, nelle amministrazioni pubbliche e private. Nel 1921 partecipò alla commissione dei probiviri dell’Associazione della stampa locale. Dal 1919 al 1926 lo troviamo componente della Commissione di sconto del Banco di Napoli e consigliere di amministrazione della Banca popolare di Campobasso incarico, quest’ultimo, che tante amarezze gli riserverà. Sempre nel 1926 venne nominato commissario prefettizio della Società Agraria di Campobasso e, nel 1928, entrò nella Commissione Reale per l’amministrazione della Provincia e nel Consiglio direttivo dell’Unione Industriale per la sezione “Industrie corrispondenti a bisogni collettivi”. Non poteva, infine, mancare l’impegno nel campo venatorio e naturalistico, palestra di passioni coltivate fin dalla gioventù quando nel 1900 divenne presidente dell’Associazione dei cacciatori sanniti. Nel 1921 entrò nella Commissione per i parchi nazionali e la tutela della flora e della fauna italiana e, nel 1923, presiedette l’Unione cacciatori del Molise. Nel 1926 fu socio ordinario della Società italiana per il progresso delle scienze e, l’anno successivo, nominato componente effettivo del Comitato forestale della Provincia. Nel 1928 lo troviamo nella Commissione centrale venatoria presso il ministero dell’economia nazionale e, nel 1929, nella analoga Commissione provinciale. Gli anni ’20 rappresentarono per Altobello un periodo di grandi soddisfazioni nell’attività medica e nella ricerca naturalistica. Purtroppo ad interrompere questo corso positivo, negli ultimi anni della sua vita, venne coinvolto nel fallimento della Banca Popolare di Campobasso, il cui presidente Marcello Barone, collega e amico, lo volle con sé nel consiglio di amministrazione della banca. Nel 1929 la grande crisi economica americana arrivò in Europa dove si diffuse il panico con la corsa dei risparmiatori a ritirare i depositi. La Banca Popolare, che si era trovata in deficit di liquidità avendo impegnati in investimenti sia i capitali propri che la raccolta, venne travolta dalla crisi, per cui nell’estate di quell’anno furono arrestati tutti i membri del consiglio di amministrazione e Altobello, seppur per pochi giorni, conobbe l’onta del carcere. Il 30 settembre del 1929 venne sospeso dall’insegnamento di Scienze naturali che svolgeva nell’Istituto Tecnico “Pilla” di Campobasso perché il reato di bancarotta fraudolenta, di cui era accusato Altobello insieme agli altri, prevedeva l’interdizione dai pubblici uffici. Durante l’istruttoria la previsione di reato, per Altobello e altri due imputati, dovette essere derubricata a bancarotta semplice perché vennero rimessi in libertà e arrivarono al processo a piede libero. Il Tribunale di Campobasso lo condannò in primo grado, con sentenza del 16 agosto 1930, a cinque mesi di reclusione, pena sospesa. Il 26 novembre viene colto da trombosi cerebrale. Altobello ricorse alla Corte di appello in Napoli che, con sentenza del 12 giugno 1931, lo assolse per insufficienza di prove ma il coinvolgimento nel fallimento dell’istituto di credito fu comunque un evento che segnò profondamente la sua vita e che sicuramente debilitò, in modo irreversibile, il suo stato di salute. Collocato a riposo per motivi di salute il 20 gennaio del 1931, Altobello muore la mattina del 9 novembre dello stesso anno, alle ore 2, nella sua casa di piazza della Vittoria, all’età di sessantadue anni. Il 29 gennaio del 1933 anche il figlio Emanuele, alla giovane età di trent’anni, venne a mancare a causa di una tubercolosi e fu sepolto insieme al padre in un sarcofago marmoreo a loro dedicato.

In attesa di liquidare le proprietà di famiglia la moglie Antonietta Manzini, comprensibilmente provata dagli accadimenti degli ultimi anni, si rifugiò nella sua Emilia insieme alla figlia Elsa. Nell’ottobre del 1933 cedette la collezione zoologica e nell’estate del 1935 il villino liberty che verrà subito dopo abbattuto, iniziando così quell’opera di annientamento della memoria e della figura di Giuseppe Altobello.

Per approfondimenti biografici si consiglia di consultare:

Guacci C. Giuseppe Altobello naturalista molisano, Editore Marinelli Isernia 1990, 2a edizione, ivi, 1995

Guacci C. (a cura di) Giuseppe Altobello naturalista, poeta, medico, Palladino Editore, Campobasso 2014

I rapporti con il Parco nazionale d’Abruzzo

Nel gennaio del 1913, all’indomani della abrogazione della riserva reale di caccia Savoia nell’Alto Sangro che bene o male aveva funzionato da deterrente, si scatenò una caccia indiscriminata agli ultimi esemplari rimasti di orso bruno marsicano e di camoscio d’Abruzzo. Fu allora che il prof. Romualdo Pirotta, direttore dell’Istituto botanico dell’università di Roma, lanciò la proposta di istituire un parco nazionale nel cuore dell’Abruzzo per salvare dall’estinzione la preziosa fauna e le estese foreste che ne costituivano l’habitat. Altobello, che frequentava l’Alto Sangro per passione naturalistica e venatoria, entrò in contatto con Erminio Sipari (fondatore e primo presidente del Parco nazionale d’Abruzzo) attraverso il senatore molisano Vittorio Cannavina al quale si era rivolto affinché, grazie alla sua rete di conoscenze, potesse favorire l’incremento della sua raccolta zoologica. Sipari, favorevolmente impressionato dalla passione e dalla competenza dimostrate da Altobello per la zoologia, lo coinvolse nella campagna promossa per l’istituzione del Parco d’Abruzzo. Attorno all’iniziativa, caldeggiata dalla Federazione Pro Montibus et Silvis di Bologna, si formò una prima pattuglia di “pionieri” tra cui, oltre ad Altobello, partecipavano gli zoologi Alessandro Ghigi, Giuseppe Lepri ed Enrico Festa. Ma l’inerzia parlamentare, il terremoto della Marsica e lo scoppio della Grande Guerra sospesero bruscamente le attività che nell’autunno del 1921, perdurando l’immobilismo legislativo, si indirizzarono verso l’istituzione del Parco come ente privato. Il 25 novembre Sipari invitò Altobello a partecipare alla storica seduta, nella sede romana della Pro Montibus, in cui si formalizzò l’istituzione del Parco nazionale d’Abruzzo e si procedette alla nomina di un Direttorio provvisorio acclamandone Sipari presidente. L’anno dopo, il 22 giugno, Sipari gli affidò l’importante incarico di illustrare in una relazione la fauna del Parco ma questo clima di intesa e collaborazione si offuscò quando Sipari, costituitosi formalmente l’Ente parco e dovendosi nominare lo zoologo componente della commissione amministratrice, indirizzò la scelta sul marchese Giuseppe Lepri dell’Università di Roma. Oltre tutto Lepri era un entomologo e non aveva particolare esperienza dei grandi mammiferi appenninici per la cui tutela il parco era stato istituito, mentre all’epoca Altobello aveva già compiuto studi innovativi descrivendo, nel 1921, il lupo appenninico e l’orso bruno marsicano quali specie endemiche dell’Appennino centro-meridionale. Evidentemente un ruolo decisivo devono aver giocato gli appoggi sui quali poteva contare Lepri che, membro della nobiltà romana, vantava frequentazioni sia con la corte sabauda che con il Vaticano. Tuttavia, il reciproco interesse alla collaborazione fece agevolmente superare l’incidente di percorso. In quegli stessi giorni infatti Sipari lo nominò in una speciale commissione ristretta che avrebbe dovuto valutare l’opportunità di istituire zone di rifugio per l’orso ed il camoscio. Di questa facevano parte anche Alessandro Ghigi ed Arrigoni degli Oddi –come zoologi esterni- e Giuseppe Lepri, come zoologo del parco. La commissione svolse i suoi lavori e i sopralluoghi tra il 12 ed il 18 agosto del 1923. Ghigi di ritorno da questo sopralluogo fu ospite di Altobello a Campobasso e visitò la raccolta faunistica. Subito dopo ne scrisse entusiasta a Sipari e la definì ricchissima ed importante, sia pel numero delle specie sia per quello degli esemplari ed aggiunge che può veramente considerarsi come la collezione zoologica centrale di quelle due regioni. Sipari poi continuò a interpellarlo per varie questioni inviandogli anche degli esemplari di fauna per la tassidermizzazione. Anche Carlo Paolucci e Nicola Tarolla, i primi due direttori del Parco del periodo aureo antecedente al colpo di mano del 1933, si avvalsero dell’esperienza e degli studi di Altobello.

La ricerca naturalistica

Abbiamo visto come Giuseppe Altobello si sia formato sotto la guida del professore Carlo Emery, direttore dell’Istituto di zoologia dell’ateneo bolognese. Proprio in quel periodo, l’impatto delle teorie evoluzionistiche darwiniane portò a una intensificazione delle indagini sistematiche, faunistiche e zoogeografiche. “L’origine delle specie” di Charles Darwin pubblicata nel 1859, dieci anni prima della nascita di Altobello, impose all’attenzione del mondo scientifico l’affascinante e rivoluzionaria teoria della “variabilità” delle specie, in contrapposizione alla teoria linneana della “fissità”. E proprio Carlo Emery, professore e guida tanto di Altobello quanto di Ghigi, si distinse tra gli zoologi italiani che più si impegnarono nella revisione del sistema di classificazione zoologica, seguendo i nuovi criteri evolutivi nonché le più recenti conoscenze anatomiche acquisite nella prima metà del XIX secolo. Poteva mai l’allievo sottrarsi all’influenza del maestro? In un primo tempo Altobello diresse la sua attenzione ed i suoi studi nei confronti dell’avifauna pubblicando, già dal 1897, diversi contributi su Avicula il “Giornale ornitologico italiano” fino a quando, nel 1920, diede alla luce un volume di più ampio respiro: il Saggio di Ornitologia Italiana, I Rapaci. In questo orientamento fu certamente influenzato dall’ambiente familiare che annoverava provetti cacciatori dei quali seguì ben presto le orme, passione che condivideva con il giovane Alessandro Ghigi. Fu verso la metà del XIX secolo che si intensificò lo studio delle cellule e dei tessuti, imprimendo una notevole accelerazione alla esplorazione istologica delle strutture animali. Anche Altobello e Ghigi diressero le prime ricerche verso lo studio della morfologia delle penne, con osservazioni comparative sul tegumento dei Rettili. Non a caso fu proprio un lavoro sull’origine delle penne oggetto della tesi di laurea di Altobello, che subito dopo si lanciò con fervore revisionista nella investigazione delle differenze morfologiche rilevabili tra le specie animali dell’appennino abruzzese e molisano. Nel 1920 iniziò a pubblicare i risultati dei suoi studi sui Mammiferi nei volumi della collana Fauna dell’Abruzzo e Molise, espressione matura della sua ricca produzione bibliografica. Questo intenso lavoro lo portò a individuare alcune nuove specie e sottospecie di fauna minore, a suo dire tipiche del territorio preso in esame, come il toporagno appenninico Sorex samniticus, il gatto selvatico  Felis molisana, il riccio Erinaceus europaeus meridionalis,  il ghiro Glis glis Abrutii, e il tritone italiano Molge italica molisana. Di queste intuizioni però, ad oggi, la scienza ufficiale ha riconosciuto solo il Sorex samniticus, considerando gli altri niente più che dei sinonimi di specie già conosciute e descritte. Ma per chi si occupa di mammalofauna e conservazione il nome di Giuseppe Altobello è legato in maniera indissolubile alla determinazione, come sottospecie endemiche, del lupo appenninico (Canis lupus italicus Altobello, 1921) e dell’orso marsicano (Ursus arctos marsicanus Altobello, 1921), due dei rappresentanti più preziosi della fauna italica. Oggi, alla luce dei più recenti indirizzi tassonomici, queste definizioni assumono un sempre maggiore interesse testimoniando non solo l’attualità dei suoi studi ma anche e soprattutto l’intuito e la curiosità del naturalista nato. Oggi si potrebbe, forse, affermare che Giuseppe Altobello abbia peccato di eccesso di zelo individuando un numero esuberante di specie e sottospecie che in seguito la Zoologia sistematica ufficiale non ha, in buona parte, riconosciuto. Ma anche se perdurasse questo mancato riconoscimento si tratterebbe di un peccato da considerare senz’altro veniale, alla luce dell’importanza e dell’attualità di alcune sue intuizioni. Altobello oltre a essere un uomo di scienza era un umanista che dedicava i propri studi alla sua gente, pel nostro popolo, e onde evitare che le sue pubblicazioni assumessero l’aridità di un catalogo scientifico, Altobello vi inseriva tutta una serie di richiami letterari, storici, artistici, nomi dialettali, cacce, aneddoti, note di folklore e di medicina popolare che, anche se non strettamente collegati alla zoologia, servivano ad avvicinare e a invogliare il lettore. Testimoniando in tal modo la modernità, la generosità dell’uomo e dello scienziato, certamente non chiuso nel suo sapere, ma che si apriva alla società, si donava, consapevole della sterilità della autoreferenzialità. Era infatti un convinto assertore della necessità che ricerca e divulgazione procedessero di pari passo, tenendo a cuore non solo la comunicazione dei risultati al mondo degli addetti ai lavori, ma anche e soprattutto, l’arricchimento culturale dei suoi concittadini. Purtroppo la prematura scomparsa non gli consentì di pubblicare alcuni lavori che aveva in preparazione e che riguardavano gli Ungulati, i Rettili e gli Anfibi nonché degli approfondimenti sulla distribuzione dell’avifauna in Abruzzo e Molise.

La Collezione

La collezione faunistica non fu mai considerata da Altobello un freddo archivio di dati bensì un vivo strumento di ricerca, svolgendo un ruolo fondamentale nella sua opera di divulgazione. Insieme alla produzione bibliografica, rappresenta il coronamento dell’impegno profuso nell’investigare e descrivere la fauna dell’Abruzzo e del Molise.
Venne iniziata verso la metà degli anni ’80 dell’Ottocento, il più “antico” esemplare è un gheppio inviatogli il 14 marzo del 1885, mentre il primo mammifero risulta essere un lupo acquistato al mercato di Campobasso il 6 gennaio del 1890 e catturato sulla montagna di Sepino.
Alla sua realizzazione, durata oltre quarant’anni, contribuirono numerose persone. Infatti oltre ai numerosi contributi diretti dell’Autore che, come molti zoologi dell’epoca, era un abile cacciatore, lo stesso aveva messo in piedi una rete di “corrispondenti” attraverso la quale affluivano a Campobasso esemplari della fauna più varia.
Qui giunti i reperti venivano catalogati in un registro e preparati per l’esposizione con l’aiuto del cugino Emilio Altobello, che nella vita di tutti i giorni lo assisteva nelle mansioni di infermiere.
Prestava la sua opera anche la moglie Antonietta che, oltre ad avvalersi delle capacità “settorie” ampiamente sperimentate in cucina nel preparare la selvaggina che il marito riportava dalle battute di caccia, redigeva i cartellini che accompagnavano gli esemplari, utilizzando una calligrafia dal sapore ottocentesco con cui li ingentiliva di eleganti svolazzi.
La collezione era esposta in tre vasti locali, adiacenti al villino liberty, che occupavano una superficie di circa centoquaranta metri quadrati. La maggior parte dei reperti era esposta in due lunghi stanzoni di quindici metri per quattro dove le vetrine, alte due metri e sessanta centimetri, si sviluppavano per circa ottanta metri lineari. Tra queste ed il soffitto ampi finestroni rettangolari davano luce agli ambienti.
L’inaugurazione ufficiale e l’apertura al pubblico avvennero nel settembre del 1922, a ridosso della inaugurazione del Parco d’Abruzzo che si tenne a Pescasseroli il 9 di quel mese.
Gli apprezzamenti non giunsero soltanto dagli ambienti cittadini, che pur tenendolo in alta considerazione non possedevano certamente gli strumenti per una adeguata valutazione scientifica dell’opera da lui compiuta. Ma furono anche affermati zoologi del tempo a esprimere, con maggiore cognizione di causa, favorevoli consensi.
Arrigoni degli Oddi, il più illustre ornitologo dell’epoca, ne sottolineò in particolare la componente riconducibile all’avifauna degna di alto interesse per la qualità, il numero e la scelta degli individui. E manifestò concretamente il gradimento donando due esemplari di lanario, due giovani femmine provenienti dall’Abruzzo e preparate da Cesare Ragionieri di Firenze.
Così come Alessandro Ghigi, che visitò la Collezione il 22 agosto del 1923 consegnando un entusiastico apprezzamento nel libro dei visitatori:
La Collezione Altobello è la più ricca collezione locale che io abbia veduto. La raccolta dei Mammiferi è altresì di eccezionale importanza, sia pel numero degli esemplari, sia per le forme locali che essa contiene. Chi voglia studiare i mammiferi d’Italia non può ormai esimersi dall’esaminare gli esemplari raccolti dal dottor Altobello, al quale con animo commosso di vecchio compagno di Università porgo le più vive congratulazioni, augurando che altri medici, in altre regioni d’Italia, seguano il suo esempio che si riallaccia a quello dato da tanti altri Medici insigni che non sdegnarono, come Francesco Redi, dedicarsi allo studio delle Scienze Naturali pure, contribuendo efficacemente al progresso di queste.
Subito dopo scrisse al presidente del Parco d’Abruzzo, Erminio Sipari, relazionando sulla sua visita a Campobasso.
In effetti per quanto riguardava la grande fauna del Parco la Collezione Altobello vantava una varietà e un numero di esemplari che non erano presenti nelle collezioni di musei ben più titolati.
Sipari, che andava accarezzando l’idea di istituire un museo del parco,  incaricò il marchese Lepri di tentare una trattativa, ma Altobello che stava raccogliendo quanto seminato in oltre trent’anni non aveva alcuna intenzione, almeno in quel momento, di cedere la sua collezione, semmai era suo desiderio integrarla ed ampliarla.
Oltre tutto il marchese Lepri, per la nota vicenda legata alla nomina nella Commissione amministratrice del Parco d’Abruzzo, era la persona meno indicata a condurre la mediazione.
Purtroppo imponderabili eventi, a lui allora ignoti, avrebbero impresso un diverso corso alla storia della raccolta.
L’apertura della clinica medica in Campobasso con il pesante onere finanziario che ne conseguì, il coinvolgimento nel fallimento della Banca popolare di Campobasso e le non buone condizioni di salute, lo indussero, in seguito, a scrivere a Erminio Sipari offrendogli l’intera Collezione. Purtroppo l’intesa non ci fu perché l’importo richiesto raffreddò gli entusiasmi di Sipari.
Nel frattempo Altobello si era rivolto al vecchio compagno di studi Alessandro Ghigi che, dopo essere succeduto in cattedra al comune maestro Emery, era diventato, nel 1930, rettore della università di Bologna. Ma mentre quest’ultimo si adoperava per trovare una soluzione finanziaria, Altobello venne a mancare.
Fu solo nell’anno seguente, il 1932, che Ghigi riuscì ottenere dal Ministero dell’Agricoltura e Foreste uno stanziamento a favore dell’Università di Bologna, destinato all’acquisto della Collezione. Le trattative, sotto la diretta supervisione di Ghigi, furono seguite in prima persona dal professor Augusto Toschi il quale, accompagnato da Augusto Scattaggia allora custode dell’Istituto di Zoologia, si recò a Campobasso per sovraintendere alle operazioni di trasferimento.
La Collezione, al momento della cessione, era così composta:

Mammiferi

510

Uccelli montati ed in pelle

2.240

Rettili

270

Anfibi

80

Pesci

120

Crani per studi di comparazione

540

In più erano presenti collezioni “minori” riguardanti nidi ed uova di uccelli, calchi di impronte di mammiferi, fatte e farfalle.
Giunta a Bologna, la raccolta subì delle perdite e delle modifiche sia quantitative che qualitative. Alcuni esemplari di Uccelli, ad esempio, furono inviati da Ghigi in Sudamerica in cambio di specie esotiche, altri vennero inseriti nella collezione ornitologica Zaffagnini-Bertocchi, altri ancora furono smontati dai supporti per essere collocati nei cassetti al pari delle serie da studio preparate in pelle.
Non è dato sapere, con esattezza, quali danni arrecò il secondo conflitto mondiale soprattutto alle preparazioni in liquido, conservate in delicati vasi di vetro. I Pesci sono andati quasi sicuramente perduti, parte degli Anfibi e dei Rettili sembra sia stata ripreparata a secco.
Nel 1977 poi, con il trasferimento dell’Istituto nazionale di biologia della selvaggina (fondato da Ghigi come Laboratorio di zoologia applicata alla caccia) nella nuova sede di Ozzano Emilia, la raccolta venne così divisa: le collezioni da studio, soprattutto animali in pelle e crani, nonché la quasi totalità degli Uccelli, seguirono l’Istituto in quel di Ozzano Emilia; al Museo di zoologia di Bologna rimasero i grossi mammiferi, gli animali montati e le collezioni minori.